"Thomas Schütte. Genealogie" di Camille Morineau e Jean-Marie Gallais
"Le forme del passato generano quelle del futuro, l’estremamente piccolo diventa l’estremamente grande."
Se c’è una cosa che Thomas Schütte ha assimilato dell’insegnamento di Gerhard Richter alla Kunstakademie di Düsseldorf è l’idea che un artista debba costruirsi un repertorio. Un’idea che ha messo in atto molto presto, creando le basi della maggior parte delle sue opere plastiche già dalla fine degli anni Settanta e sviluppandole continuamente da allora in poi: questo approccio conferisce alla sua produzione un paradossale senso di coerenza e di eclettismo insieme. Le forme del passato generano quelle del futuro, l’estremamente piccolo diventa l’estremamente grande. Il “modello” si trasforma in realtà, l’allestimento si inscrive nelle sale del museo, nello spazio urbano o naturale, e tutto questo con quella grande libertà che fa di Thomas Schütte una delle voci principali dell’arte contemporanea. La disinvoltura con cui Schütte passa da una forma all’altra e da un medium all’altro è stupefacente, rara, talvolta addirittura perturbante, lontana da una «cifra stilistica». L’idea di genealogia declinata in più modi permette di muoversi in questo vasto repertorio, generando tanto il percorso di un’esposizione quanto i contenuti di questa pubblicazione. Così il termine «genealogies» è diventato un titolo, con l’accordo e la complicità dell’artista che vogliamo ringraziare per il suo impegno, la sua generosità e la sua comprensione dei relativi vincoli.
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Più che cercare di riassumere queste peregrinazioni tra temi, forme e materie – cosa che, speriamo, costituirà il piacere e la sorpresa della lettura e della visita – vorremmo insistere qui su un aspetto sorprendentemente poco commentato del suo lavoro, ovvero il gioco sugli stereotipi di genere. Schütte si dichiara fortunato di non dover risolvere la questione del genere di alcune delle sue sculture, come nel caso dei Geister, quegli «spiriti» senza volto ma la cui gestualità in forma di pantomima anima lo spazio; o anche di alcuni animali ibridi che ritroviamo nei suoi acquerelli. In altre parole, è inevitabile constatare che il suo universo è polarizzato tra due generi, che tratta in modo diverso. Il maschile, la smorfia, l’arroganza del potere, l’opposizione netta ma assurda tra «bene e male», il dialogo tra malavitosi, l’«abito» del potere, consacrato o laico, che maschera a fatica la propria vacuità. Il femminile, l’interiorità, l’umiltà degli occhi chiusi, la calma, a volte il pianto e l’emozione, il corpo in piedi ancorato alla terra, un’altra forma di autorità, dolce. La recentissima e monumentale Mutter Erde [Madre Terra] (2024) corrisponde peraltro al suo antecedente Vater Staat ([Padre Stato] (2010), nel quale pensavamo di vedere riassunto il lavoro di Schütte. Così si costruisce in definitiva l’opera di colui che non ama interpretarne le evidenze: la natura e il calmo potere al femminile completano e sottolineano la netta differenza con lo Stato maschile, che paradossalmente si impone, con gli occhi spalancati, nelle sembianze di ingrandimento di una marionetta impacciata. Il percorso rivela anche un altro aspetto: il rapporto con i numeri. Schütte gioca costantemente con la visualizzazione e lo sdoppiamento, mettendo le sue figure in tensione con lo spettatore nello spazio, creando personaggi bicefali ed esplorando le diverse conseguenze della dualità; poi immaginando le coppie di teste e i quattro Fratelli che evocano tanto l’Idra di Lerna, alla quale si attribuivano da tre a sette teste, quanto il cane mostruoso Cerbero che di teste ne aveva tre, con una coda di drago (il motivo del cane-drago appare poi in maniera più benevola nelle sue sculture in bronzo, ed è uno dei soggetti ricorrenti dei suoi disegni). Si possono così differenziare gli uomini, i cui volti sono moltiplicati in maniera mostruosa, dalle teste femminili, se dialogano, lo fanno in un rapporto da individuo a individuo, in armonia.
Estratti del catalogo della mostra "Thomas Schütte. Genealogies" a Punta della Dogana