"Tatiana Trouvé e Italo Calvino: l’inesauribile superficie delle cose" di Bruno Racine

Tatiana Trouvé
Chiudi Tatiana Trouvé, L’inventario, 2003-2024, Collection of the artist © Tatiana Trouvé, by SIAE 2025. Installation view, “Tatiana Trouvé. The strange Life of Things”, 2025, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti and Giuseppe Miotto / Marco Cappelletti Studio © Palazzo Grassi, Pinault Collection
Articolo
20.05.25

"Tatiana Trouvé e Italo Calvino: l’inesauribile superficie delle cose" di Bruno Racine

Le collane di Tatiana Trouvé evocano la città di Clarice, che passa attraverso un ciclo indefinitamente ripetuto di decadenza e rinascita, spingendo i sopravvissuti a scavare ovunque, ad accumulare e rabberciare

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Una delle prime sale espositive presenta alcune «collane cittadine» composte da una serie di elementi eterogenei raccolti dall’artista durante i suoi viaggi intorno al mondo. Non sono però gli oggetti originali a essere accostati gli uni agli altri, bensì la loro fedele riproduzione in bronzo, rame o alluminio. Tra gli elementi inanellati colpisce il numero elevato di piccole capsule argentate, copie di quelle che a New York si usano per confezionare il metadone e di cui i consumatori si sbarazzano gettandole per strada. Come la noce della fiaba che, una volta rotto il guscio, permette di srotolare una tela senza fine, ognuna di queste capsule è il punto di partenza di un numero incalcolabile di possibili racconti, ognuna è un «opificio di racconti potenziali»: dove e quando l’ha raccolta l’artista, a cosa pensava in quel momento preciso, che ne è stato del consumatore che l’ha gettata dopo l’uso o di chi l’ha venduta? «Tutti i materiali che utilizzo», scrive Trouvé, «sono carichi di idee e di storie». «Le vite dei miei Guardians», aggiunge, «saranno sempre da immaginare» (3). Lo stesso vale anche per il suo archivio, dove gli oggetti più disparati sono riposti, suddivisi per tipo, su un gran numero di mensole: borse di pelle, accendini, fiori secchi, radioline, telefoni, macchine fotografiche, lattine ecc., tutti sotto forma di riproduzione in metallo, il più delle volte bronzo, lega riservata fin dall’antichità alle sculture più ricercate e che le rende in qualche modo imperiture. In un passaggio sorprendente, il Khan dei tartari immagina che il suo dialogo con il giovane veneziano non sia altro che un sogno e che entrambi siano in realtà degli «straccioni […] che stanno rovistando in uno scarico di spazzatura, ammucchiando rottami arrugginiti, brandelli di stoffa, cartaccia, e ubriachi per pochi sorsi di cattivo vino vedono intorno a loro splendere tutti i tesori d’Oriente» (4). La trasfigurazione degli oggetti di scarto in materiale prezioso e durevole realizza questo sogno. Proprio come le collane, l’archivio presentato a Venezia costituisce un diario, come, nelle parole di Calvino, ogni specie di collezione: «Diario di viaggi, certo, ma pure diario di sentimenti, di stati d’animo, di umori» (5). Le collezioni di Tatiana Trouvé, caratterizzate dall’accumulo e dalla classificazione, sono dunque il corrispondente plastico dei diari degli scrittori, nati entrambi da «quell’oscura smania che spinge tanto a mettere insieme una collezione quanto a tenere un diario, cioè il bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate fuori dal flusso continuo dei pensieri» (6).

Le collane di Tatiana Trouvé evocano la città di Clarice, che passa attraverso un ciclo indefinitamente ripetuto di decadenza e rinascita, spingendo i sopravvissuti a scavare ovunque, ad accumulare e rabberciare, «come uccelli che nidificano» (7). Ogni nuova Clarice sfoggia quindi «come un monile quel che resta delle antiche Clarici frammentarie e morte» (8). Questi calchi di oggetti, realizzati in un materiale che le preserva dalla decomposizione, sono dunque dei concentrati di tempo, un tempo che talvolta può andare ben al di là della durata della vita umana. «Quando vedo una pietra», scrive Tatiana Trouvé, «vedo come si è sedimentato un mondo» (9). L’artista e lo scrittore condividono la consapevolezza che, nel loro lavoro, «i desideri sono già ricordi» (10), secondo la malinconica espressione di Marco Polo.

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3. T. Trouvé, Récits, rêves et autres histoires, cit., p. 253.
4. I. Calvino, Le città invisibili, cit., p. 102.
5. Id., Collezione di sabbia, Garzanti, Milano 1984, p. 10.
6. Ivi, pp. 10-11.
7. Id., Le città invisibili, cit., p. 104.
8. Ivi, p. 105.
9. T. Trouvé, Récits, rêves et autres histoires, cit., p. 249.
10. I. Calvino, Le città invisibili, cit., p. 8.

 

Estratti del catalogo della mostra "Tatiana Trouvé. La strana vita delle cose" a Palazzo Grassi